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Incomincia la seconda giornata, nella quale. sotto il reggimento di Filomena, sl ragiona di chi, da diverse cose infestato, sia, oltre alla sua speranza, riuscito a lieto fine.

Giornata seconda - Introduzione

Già per tutto aveva il sol recato colla sua luce il nuovo giorno e gli uccelli, su per gli verdi rami cantando piacevoli versi, ne davano agli orecchi testimonianza, quando parimente tutte le donne e i tre giovani levatisi ne'giardini se n'entrarono e le rugiadose erbe con lento passo scalpitando, d'una parte in un'altra, belle ghirlande faccendosi, per lungo spazio diportando s'andarono. E sì come il trapassato giorno avean fatto, così fecero il presente: per lo fresco avendo mangiato, dopo alcun ballo s'andarono a riposare, e da quello appresso la nona levatisi, come alla loro reina piacque, nel fresco pratello venuti, a lei dintorno si posero a sedere. Ella, la quale era formosa e di piacevole aspetto molto, della sua ghirlanda dello alloro coronata, alquanto stata e tutta la sua compagnia riguardata nel viso, a Neifile comandò che alle future novelle con una desse principio; la quale, senza scusa alcuna fare, così lieta cominciò a parlare.


Giornata seconda - Novella prima

Martellino, infignendosi attratto, sopra santo Arrigo fa vista di guarire, e, conosciuto il suo inganno, è battuto, e poi, preso e in pericolo venuto d'esser impiccato per la gola, ultimamente scampa.

Spesse volte, carissime donne, avvenne che chi altrui s'è di beffare ingegnato, e massimamente quelle cose che sono da reverire, s'è colle beffe e talvolta col danno di sé solo ritrovato. Il che, acciò che io al comandamento della reina ubbidisca e principio dea con una mia novella alla proposta, intendo di raccontarvi quello che prima sventuratamente, e poi fuori di tutto il suo pensiero assai felicemente, ad un nostro cittadino avvenisse. Era, non è ancora lungo tempo passato, un tedesco a Trivigi, chiamato Arrigo, il quale, povero uomo essendo, di portar pesi a prezzo serviva chi il richiedeva; e, con questo, uomo di santissima vita e di buona era tenuto da tutti. Per la qual cosa, o vero o non vero che si fosse, morendo egli, adivenne, secondo che i trivigiani affermano, che nell'ora della sua morte le campane della maggior chiesa di Trivigi tutte, senza essere da alcuno tirate, cominciarono a sonare. Il che in luogo di miracolo avendo, questo Arrigo esser santo dicevano tutti; e concorso tutto il popolo della città alla casa nella quale il suo corpo giaceva, quello a guisa d'un corpo santo nella chiesa maggiore ne portarono, menando quivi zoppi attratti e ciechi e altri di qualunque infermità o difetto impediti, quasi tutti dovessero dal toccamento di questo corpo divenir sani. In tanto tumulto e discorrimento di popolo, avvenne che in Trivigi giunsero tre nostri cittadini, de'quali l'uno era chiamato Stecchi, l'altro Martellino e il terzo Marchese, uomini li quali, le corti de'signori visitando, di contraffarsi e con nuovi atti contraffacendo qualunque altro uomo li veditori sollazzavano. Li quali quivi non essendo stati giammai, veggendo correre ogni uomo, si maravigliarono, e udita la cagione per che ciò era, disiderosi divennero d'andare a vedere. E poste le lor cose ad uno albergo, disse Marchese: - Noi vogliamo andare a veder questo santo; ma io per me non veggio come noi vi ci possiam pervenire, per ciò che io ho inteso che la piazza è piena di tedeschi e d'altra gente armata, la quale il signor di questa terra, acciò che romor non si faccia, vi fa stare; e oltre a questo la chiesa, per quello che si dica, è sì piena di gente che quasi niuna persona più vi può entrare. Martellino allora, che di veder questa cosa disiderava, disse: - Per questo non rimanga; ché di pervenire infino al corpo santo troverrò io ben modo. Disse Marchese: - Come? Rispose Martellino: - Dicolti. Io mi contraffarò a guisa d'uno attratto, e tu dall'un lato e Stecchi dall'altro, come se io per me andar non potessi, mi verrete sostenendo, faccendo sembianti di volermi là menare acciò che questo santo mi guarisca; egli non sarà alcuno che veggendoci non ci faccia luogo, e lascici andare. A Marchese e a Stecchi piacque il modo; e, senza alcuno indugio usciti fuori dello albergo, tutti e tre in un solitario luogo venuti, Martellino si storse in guisa le mani, le dita e le braccia e le gambe, e oltre a questo la bocca e gli occhi e tutto il viso, che fiera cosa pareva a vedere; né sarebbe stato alcuno che veduto l'avesse, che non avesse detto lui veramente esser tutto della persona perduto rattratto. E preso così fatto da Marchese e da Stecchi, verso la chiesa si dirizzarono, in vista tutti pieni di pietà, umilemente e per lo amor di Dio domandando a ciascuno che dinanzi lor si parava, che loro luogo facesse; il che agevolmente impetravano; e in brieve, riguardati da tutti, e quasi per tutto gridandosi -fa luogo, fa luogo-, là pervennero ove il corpo di santo Arrigo era posto; e da certi gentili uomini, che v'erano dattorno, fu Martellino prestamente preso e sopra il corpo posto, acciò che per quello il beneficio della sanità acquistasse. Martellino, essendo tutta la gente attenta a vedere che di lui avvenisse, stato alquanto, cominciò, come colui che ottimamente far lo sapeva, a far sembiante di distendere l'uno dediti, e appresso la mano, e poi il braccio, e così tutto a venirsi distendendo. Il che veggendo la gente, sì gran romore in lode di santo Arrigo facevano che i tuoni non si sarieno potuti udire. Era per avventura un fiorentino vicino a questo luogo, il quale molto bene conoscea Martellino, ma per l'essere così travolto quando vi fu menato non lo avea conosciuto; il quale, veggendolo ridirizzato e riconosciutolo, subitamente cominciò a ridere e a dire: - Domine, fallo tristo! chi non avrebbe creduto, veggendol venire, che egli fosse stato attratto da dovero? Queste parole udirono alcuni trivigiani, li quali incontanente il domandarono: - Come! Non era costui attratto? A'quali il fiorentino rispose: - Non piaccia a Dio! egli è sempre stato diritto come è qualunque di noi, ma sa meglio che altro uomo, come voi avete potuto vedere, far queste ciance di contraffarsi in qualunque forma vuole. Come costoro ebbero udito questo, non bisognò più avanti; essi si fecero per forza innanzi e cominciarono a gridare: - Sia preso questo traditore e beffatore di Dio e de'santi, il quale, non essendo attratto, per ischernire il nostro santo e noi, qui a guisa d'attratto è venuto. E così dicendo il pigliarono, e giù del luogo dove era il tirarono, e presolo per li capelli e stracciatigli tutti i panni in dosso, gli cominciarono a dare delle pugna e de'calci; né parea a colui esser uomo, che a questo far non correa. Martellino gridava mercé per Dio e quanto poteva s'aiutava; ma ciò era niente: la calca gli multiplicava ogni ora addosso maggiore. La qual cosa veggendo Stecchi e Marchese, cominciarono fra sé a dire che la cosa stava male, e di sé medesimi dubitando, non ardivano ad aiutarlo; anzi con gli altri insieme gridavano ch'el fosse morto, avendo nondimeno pensiero tuttavia come trarre il potessero delle mani del popolo. Il quale fermamente l'avrebbe ucciso, se uno argomento non fosse stato, il qual Marchese subitamente prese; che, essendo ivi di fuori la famiglia tutta della signoria, Marchese, come più tosto potè, n'andò a colui che in luogo del podestà v'era, e disse: - Mercé per Dio! egli è qua un malvagio uomo che m'ha tagliata la borsa con ben cento fiorini d'oro; io vi priego che voi il pigliate, sì che io riabbia il mio. Subitamente, udito questo, ben dodici de'sergenti corsero là dove il misero Martellino era senza pettine carminato, e alle maggior fatiche del mondo rotta la calca, loro tutto pesto e tutto rotto il trassero delle mani e menaronnelo a palagio; dove molti seguitolo che da lui si tenevano scherniti, avendo udito che per tagliaborse era stato preso, non parendo loro avere alcuno altro più giusto titolo a fargli dar la mala ventura, similemente cominciarono a dire , ciascuno da lui essergli stata tagliata la borsa. Le quali cose udendo il giudice del podestà, il quale era un ruvido uomo, prestamente da parte menatolo, sopra ciò 'ncominciò ad esaminare. Ma Martellino rispondea motteggiando, quasi per niente avesse quella presura; di che il giudice turbato, fattolo legare alla colla, parecchie tratte delle buone gli fece dare con animo di fargli confessare ciò che coloro dicevano, per farlo poi appiccare per la gola. Ma poi che egli fu in terra posto, domandandolo il giudice se ciò fosse vero che coloro incontro a lui dicevano, non valendogli il dire di no, disse: - Signor mio, io son presto a confessarvi il vero, ma fatevi a ciascun che mi accusa dire quando e dove io gli tagliai la borsa, e io vi dirò quello che io avrò fatto, e quel che no. Disse il giudice: - Questo mi piace-; e fattine alquanti chiamare, l'uno diceva che gliele avea tagliata otto dì eran passati, l'altro sei, l'altro quattro, e alcuni dicevano quel dì stesso. Il che udendo Martellino, disse: - Signor mio, essi mentono tutti per la gola; e che io dica il vero, questa pruova ve ne posso fare, che così non fossi io mai in questa terra entrato, come io mal non ci fui, se non da poco fa in qua; e come io giunsi, per mia disavventura andai a vedere questo corpo santo, dove io sono stato pettinato come voi potete vedere; e che questo che io dico sia vero, ve ne può far chiaro l'uficiale del signore il quale sta alle presentagioni, e il suo libro, e ancora l'oste mio. Per che, se così trovate come io vi dico, non mi vogliate ad instanzia di questi malvagi uomini straziare e uccidere. Mentre le cose erano in questi termini, Marchese e Stecchi, li quali avevan sentito che il giudice del podestà fieramente contro a lui procedeva, e già l'aveva collato, temetter forte, seco dicendo: "Male abbiam procacciato; noi abbiamo costui tratto della padella, e gittatolo nel fuoco". Per che, con ogni sollecitudine dandosi attorno, e l'oste loro ritrovato, come il fatto era gli raccontarono. Di che esso ridendo, gli menò ad un Sandro Agolanti, il quale in Trivigi abitava e appresso al signore avea grande stato, e ogni cosa per ordine dettagli, con loro insieme il pregò che de'fatti di Martellino gli tenesse. Sandro, dopo molte risa, andatosene al signore, impetrò che per Martellino fosse mandato, e così fu. Il quale coloro che per lui andarono trovarono ancora in camicia dinanzi al giudice, e tutto smarrito e pauroso forte, perciò che il giudice niuna cosa in sua scusa voleva udire; anzi, per avventura avendo alcuno odio né fiorentini, del tutto era disposto a volerlo fare impiccar per la gola, e in niuna guisa rendere il voleva al signore, infino a tanto che costretto non fu di renderlo a suo dispetto. Al quale poiché egli fu davanti, e ogni cosa per ordine dettagli, porse prieghi che in luogo di somma grazia via il lasciasse andare; per ciò che, infino che in Firenze non fosse, sempre gli parrebbe il capestro aver nella gola. Il signore fece grandissime risa di così fatto accidente; e fatta donare una roba per uomo, oltre alla speranza di tutti e tre di così gran pericolo usciti, sani e salvi se ne tornarono a casa loro.


Giornata seconda - Novella seconda

Rinaldo d'Esti, rubato, capita a Castel Guiglielmo ed è albergato da una donna vedova e, de'suoi danni ristorato, sano e salvo si torna a casa sua.

Degli accidenti di Martellino da Neifile raccontati senza modo risero le donne, e massimamente tra'giovani Filostrato, al quale, per ciò che appresso di Neifile sedea, comandò la reina che novellando la seguitasse. Il quale senza indugio alcuno incominciò. Belle donne, a raccontarsi mi tira una novella di cose catoliche e di sciagure e d'amore in parte mescolata, la quale per avventura non fia altro che utile avere udita; e spezialmente a coloro li quali per li dubbiosi paesi d'amore sono camminanti, né quali, chi non ha detto il paternostro di san Giuliano, spesse volte, ancora che abbia buon letto, alberga male. Era adunque, al tempo del marchese Azzo da Ferrara, un mercatante chiamato Rinaldo d'Esti per sue bisogne venuto a Bologna; le quali avendo fornite e a casa tornandosi, avvenne che, uscito di Ferrara e cavalcando verso Verona, s'abbattè in alcuni li quali mercatanti parevano ed erano masnadieri e uomini di malvagia vita e condizione, con li quali ragionando incautamente s'accompagnò. Costoro, veggendol mercatante e stimando lui dover portar danari, seco diliberarono che, come prima tempo si vedessero, di rubarlo; e perciò, acciò che egli niuna suspezion prendesse, come uomini modesti e di buona condizione, pure d'oneste cose e di lealtà andavano con lui favellando, rendendosi, in ciò che potevano e sapevano, umili e benigni verso di lui; per che egli di avergli trovati si reputava in gran ventura, per ciò che solo era con uno suo fante a cavallo. E così camminando, d'una cosa in altra, come né ragionamenti addiviene, trapassando, caddero in sul ragionare delle orazioni che gli uomini fanno a Dio; e l'un de'masnadieri, che erano tre, disse verso Rinaldo: - E voi, gentile uomo, che orazione usate di dir camminando? Al quale Rinaldo rispose: - Nel vero io sono uomo di queste cose assai materiale e rozzo, e poche orazioni ho per le mani, sì come colui che mi vivo all'antica e lascio correr due soldi per ventiquattro denari; ma nondimeno ho sempre avuto in costume camminando di dir la mattina, quando esco dell'albergo, un paternostro e una avemaria per l'anima del padre e della madre di san Giuliano, dopo il quale io priego Iddio e lui che la seguente notte mi deano buono albergo. E assai volte già de'miei dì sono stato camminando in gran pericoli, de'quali tutti scampato, pur sono la notte poi stato in buon luogo e bene albergato; per che io porto ferma credenza che san Giuliano, a cui onore io il dico, m'abbia questa grazia impetrata da Dio; né mi parrebbe il dì ben potere andare, né dovere la notte vegnente bene arrivare, che io non l'avessi la mattina detto. A cui colui, che domandato l'avea, disse: - E istamane dicestel voi? A cui Rinaldo rispose: - Sì bene. Allora quegli che già sapeva come andar doveva il fatto, disse seco medesimo: "Al bisogno ti fia venuto; ché, se fallito non ci viene, per mio avviso tu albergherai pur male"; e poi gli disse: - Io similmente ho già molto camminato, e mai nol dissi, quantunque io l'abbia a molti molto già udito commendare, né giammai non m'avvenne che io per ciò altro che bene albergassi; e questa sera per avventura ve ne potrete avvedere chi meglio albergherà, o voi che detto l'avete o io che non l'ho detto. Bene è il vero che io uso in luogo di quello il Dirupisti, o la 'ntemerata, o il Deprofundi, che sono, secondo che una mia avola mi soleva dire, di grandissima virtù . E così di varie cose parlando e al lor cammin procedendo, e aspettando luogo e tempo al loro malvagio proponimento, avvenne che, essendo già tardi, di là da Castel Guiglielmo, al valicare d'un fiume, questi tre, veggendo l'ora tarda e il luogo solitario e chiuso, assalitolo, il rubarono, e lui a piè e in camicia lasciato, partendosi dissero: - Va e sappi se il tuo san Giuliano questa notte ti darà buono albergo, ché il nostro il darà bene a noi -; e, valicato il fiume, andaron via. Il fante di Rinaldo veggendolo assalire, come cattivo, niuna cosa al suo aiuto adoperò, ma, volto il cavallo sopra il quale era, non si ritenne di correre sì fu a Castel Guiglielmo, e in quello, essendo già sera, entrato, senza darsi altro impaccio, albergò. Rinaldo rimaso in camicia e scalzo, essendo il freddo grande e nevicando tuttavia forte, non sappiendo che farsi, veggendo già sopravvenuta la notte, tremando e battendo i denti, cominciò a riguardare se dattorno alcun ricetto si vedesse, dove la notte potesse stare, che non si morisse di freddo; ma niun veggendone (per ciò che poco davanti essendo stata guerra nella contrada v'era ogni cosa arsa), sospinto dalla freddura, trottando si dirizzò verso Castel Guiglielmo, non sappiendo perciò che il suo fante là o altrove si fosse fuggito, pensando, se dentro entrare vi potesse, qual che soccorso gli manderebbe Iddio. Ma la notte oscura il soprapprese di lungi dal castello presso ad un miglio; per la quale cosa sì tardi vi giunse che, essendo le porti serrate e i ponti levati, entrar non vi potè dentro. Laonde, dolente e isconsolato, piagnendo guardava dintorno dove porre si potesse, che almeno addosso non gli nevicasse; e per avventura vide una casa sopra le mura del castello sportata alquanto in fuori, sotto il quale sporto diliberò d'andarsi a stare infino al giorno; e là andatosene e sotto quello sporto trovato un uscio, come che serrato fosse, a piè di quello ragunato alquanto di pagliericcio che vicin v'era, tristo e dolente si pose a stare, spesse volte dolendosi a san Giuliano, dicendo questo non essere della fede che aveva in lui. Ma san Giuliano, avendo a lui riguardo, senza troppo indugio gli apparecchiò buono albergo. Egli era in questo castello una donna vedova, del corpo bellissima quanto alcuna altra, la quale il marchese Azzo amava quanto la vita sua, e quivi ad instanzia di sé la facea stare. E dimorava la predetta donna in quella casa, sotto lo sporto della quale Rinaldo s'era andato a dimorare. Ed era il dì dinanzi per avventura il marchese quivi venuto per doversi la notte giacere con essolei, e in casa di lei medesima tacitamente aveva fatto fare un bagno, e nobilmente da cena. Ed essendo ogni cosa presta, e niun'altra cosa che la venuta del marchese era da lei aspettata, avvenne che un fante giunse alla porta, il quale recò novelle al marchese, per le quali a lui subitamente cavalcar convenne; per la qual cosa, mandato a dire alla donna che non lo attendesse, prestamente andò via. Onde la donna, un poco sconsolata, non sappiendo che farsi, deliberò d'entrare nel bagno fatto per lo marchese, e poi cenare e andarsi al letto; e così nel bagno se n'entrò. Era questo bagno vicino all'uscio dove il meschino Rinaldo s'era accostato fuori della terra; per che, stando la donna nel bagno, sentì il pianto e 'l tremito che Rinaldo faceva, il quale pareva diventato una cicogna. Laonde, chiamata la sua fante, le disse: - Va su e guarda fuor del muro a piè di questo uscio chi v'è, e chi egli è, e quel ch'el vi fa. La fante andò, e aiutandola la chiarità dell'aere, vide costui in camicia e scalzo quivi sedersi come detto è, tremando forte; per che ella il domandò chi el fosse. E Rinaldo, sì forte tremando che appena poteva le parole formare, chi el fosse e come e perché quivi, quanto più brieve potè, le disse; e poi pietosamente la cominciò a pregare che, se esser potesse, quivi non lo lasciasse di freddo la notte morire. La fante, divenutane pietosa, tornò alla donna e ogni cosa le disse. La qual similmente pietà avendone, ricordatasi che di quello uscio aveva la chiave, il quale alcuna volta serviva alle occulte entrate del marchese, disse: - Va, e pianamente gli apri; qui è questa cena, e non saria chi mangiarla, e da poterlo albergare ci è assai. La fante di questa umanità avendo molto commendata la donna, andò e sì gli aperse, e dentro messolo, quasi assiderato veggendolo, gli disse la donna: - Tosto, buono uomo, entra in quel bagno, il quale ancora è caldo. Ed egli questo, senza più inviti aspettare, di voglia fece; e tutto dalla caldezza di quello riconfortato, da morte a vita gli parve essere tornato. La donna gli fece apprestare panni stati del marito di lei, poco tempo davanti morto, li quali come vestiti s'ebbe, a suo dosso fatti parevano; e aspettando quello che la donna gli comandasse, incominciò a ringraziare Iddio e san Giuliano che di sì malvagia notte, come egli aspettava, l'avevano liberato, e a buono albergo, per quello che gli pareva, condotto Appresso questo la donna alquanto riposatasi, avendo fatto fare un grandissimo fuoco in una sua camminata, in quella se ne venne, e del buono uomo domandò che ne fosse. A cui la fante rispose: - Madonna, egli s'è rivestito, ed è un bello uomo e par persona molto da bene e costumato. - Va dunque,- disse la donna - e chiamalo, e digli che qua se ne venga al fuoco, e sì cenerà, ché so che cenato non ha. Rinaldo nella camminata entrato, e veggendo la donna, e da molto parendogli, reverentemente la salutò, e quelle grazie le quali seppe maggiori del beneficio fattogli le rende'. La donna, vedutolo e uditolo, e parendole quello che la fante dicea, lietamente il ricevette e seco al fuoco familiarmente il fè sedere e dello accidente che quivi condotto l'avea il domandò. Alla quale Rinaldo per ordine ogni cosa narrò. Aveva la donna, nel venire del fante di Rinaldo nel castello, di questo alcuna cosa sentita, per che ella ciò che da lui era detto interamente credette; e sì gli disse ciò che del suo fante sapeva e come leggiermente la mattina appresso ritrovare il potrebbe. Ma poi che la tavola fu messa, come la donna volle, Rinaldo, con lei insieme le mani lavatesi, si pose a cenare. Egli era grande della persona e bello e piacevole nel viso e di maniere assai laudevoli e graziose e giovane di mezza età; al quale la donna avendo più volte posto l'occhio addosso e molto commendatolo, e già, per lo marchese che con lei dovea venire a giacersi, il concupiscibile appetito avendo desto nella mente, dopo la cena, da tavola levatasi, colla sua fante si consigliò se ben fatto le paresse che ella, poi che il marchese beffata l'avea, usasse quel bene che innanzi l'avea la fortuna mandato. La fante, conoscendo il disiderio della sua donna, quanto potè e seppe a seguirlo la confortò; per che la donna, al fuoco tornatasi, dove Rinaldo solo lasciato aveva, cominciatolo amorosamente a guardare, gli disse: - Deh, Rinaldo, perché state voi così pensoso? Non credete voi potere essere ristorato d'un cavallo e d'alquanti panni che voi abbiate perduti? Confortatevi, state lietamente, voi siete in casa vostra; anzi vi voglio dire più avanti, che, veggendovi cotesti panni in dosso, li quali del mio morto marito furono, parendomi voi pur desso, m'è venuto stasera forse cento volte voglia d'abbracciarvi e di baciarvi; e, se io non avessi temuto che dispiaciuto vi fosse, per certo io l'avrei fatto. Rinaldo, queste parole udendo e il lampeggiar degli occhi della donna veggendo, come colui che mentecatto non era, fattolesi incontro colle braccia aperte, disse: - Madonna, pensando che io per voi possa omai sempre dire che io sia vivo, a quello guardando donde torre mi faceste, gran villania sarebbe la mia se io ogni cosa che a grado vi fosse non m'ingegnassi di fare; e però contentate il piacer vostro d'abbracciarmi e di baciarmi, ché io abbraccerò e bacerò voi vie più che volentieri. Oltre a queste non bisognar più parole. La donna, che tutta d'amoroso disio ardeva, prestamente gli si gittò nelle braccia; e poi che mille volte, disiderosamente strignendolo, baciato l'ebbe e altrettante da lui fu baciata, levatisi di quindi, nella camera se n'andarono, e senza niuno indugio coricatisi, pienamente e molte volte, anzi che il giorno venisse, i lor disii adempierono. Ma poi che ad apparire cominciò l'aurora, sì come alla donna piacque, levatisi, acciò che questa cosa non si potesse presummere per alcuno, datigli alcuni panni assai cattivi ed empiutagli la borsa di denari, pregandolo che questo tenesse celato, avendogli prima mostrato che via tener dovesse a venir dentro a ritrovare il fante suo, per quello usciolo onde era entrato, il mise fuori. Egli, fatto dì chiaro, mostrando di venire di più lontano, aperte le porti, entrò nel castello e ritrovò il suo fante; per che, rivestitosi de'panni suoi che nella valigia erano, e volendo montare in su 'l cavallo del fante, quasi per divino miracolo addivenne che li tre masnadieri che la sera davanti rubato l'aveano, per altro maleficio da loro fatto poco poi appresso presi, furono in quel castello menati, e per confessione da loro medesimi fatta, gli fu restituito il suo cavallo, i panni e i danari, né ne perdé altro che un paio di cintolini, dei quali non sapevano i masnadieri che fatto se n'avessero. Per la qual cosa Rinaldo, Iddio e san Giuliano ringraziando, montò a cavallo e sano e salvo ritornò a casa sua; e i tre masnadieri il dì seguente andarono a dar de'calci a rovaio.

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